La battaglia di Iwo Jima: la resistenza invisibile

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Soldati americani a Iwo Jima. (AP Photo)
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di Sara Perruzza

19 Febbraio 1945. Il sole era sorto da un pezzo a scaldare le coste dell’isola di Iwo Jima, una base aerea giapponese dell’arcipelago Volcano, nel bel mezzo del Pacifico, a metà strada tra il Giappone e l’arcipelago delle Marianne[1]. Nessuno poteva immaginare che quel territorio, scarsamente abitato e poco conosciuto[2], sarebbe diventato, suo malgrado, uno dei teatri bellici più cruenti della Seconda guerra mondiale; oltre a rappresentare uno dei pochi luoghi al mondo in cui la parola Resistenza incarna, senza dubbio alcuno, il suo significato più autentico. Mai nessun ambiente, porzione di terra o spazio geografico fu così vigorosamente difeso nell’estenuante conflitto tra Stati Uniti e Giappone. Erano le 8:59 del mattino quando i mezzi da sbarco statunitensi fecero la loro comparsa nei pressi dell’isola.[3] I soldati che componevano la quarta e la quinta divisione, giovani e pieni di entusiasmo, avevano tutte le ragioni di supporre che l’imponente bombardamento preliminare, sia aereo che navale, messo in atto dal dicembre del 1944 fino alla vigilia dello sbarco[4], fosse riuscito a spazzare via le difese nemiche; in realtà la loro si rivelò un’amara illusione: sorprendentemente, l’apparto difensivo giapponese non era stato intaccato di una virgola. Attorno al monte Suribachi, cono vulcanico di 169 metri[5], i nipponici avevano organizzato la loro ingegnosa difesa. All’ordine del tenente generale Kuribayashi Tadamichi di costruire un labirinto di gallerie intercomunicanti, fu scavato nel terreno vulcanico un tunnel di circa 26 km, una vera e propria roccaforte sotterranea[6], la cui funzione principale era offrire ai difensori un riparo dalle granate a “stelle e strisce”. In questo perimetro fortificato i nipponici erano ben nascosti all’interno di solidi bunker, come tante piccole api nei loro alveari, in attesa di aprire il fuoco contro il più temuto dei nemici: il corpo dei marines, composto da soldati altamente specializzati nel compiere le operazioni belliche più delicate, come sbarchi e incursioni ad alto livello di rischio[7]; abituati a sfidare la morte in missioni disperate. Questa volta però il nemico da affrontare avrebbe dato del filo da torcere anche al più coraggioso dei jarhead [8].
Si trattava di un avversario particolarmente agguerrito e soprattutto “invisibile”, poiché strategicamente nascosto e, di conseguenza, difficile da stanare. Appena sbarcate, quella fredda mattina invernale, le forze nordamericane furono letteralmente travolte da colpi di mortai e mitragliatrici, che resero l’avanzata in territorio nemico particolarmente faticosa e drammatica[9]. Altro ostacolo, non meno importante, era rappresentato dalla sabbia nera di origine vulcanica di cui era composta la spiaggia[10]. In quel terreno instabile i fanti affondarono fino alle ginocchia, restando spesso insabbiati nell’arduo tentativo di procedere verso la costa occidentale. Per non parlare poi della lunga schiera di carri armati rimasti intrappolati nella cenere.[11] Circa 30.000 uomini[12] raggiunsero le coste dell’sola quel mattino, ma una parte di loro non vide l’alba del giorno successivo. L’artiglieria pesante giapponese sbaragliò circa 2.500 soldati (tra feriti e uccisi)[13]. In poche ore la sabbia si tinse di rosso per via del sangue dei combattenti.[14] Molti veicoli militari furono avvolti dalle fiamme e il fuoco nemico, proveniente da ogni direzione, non smetteva di “ruggire”. Uno scenario a dir poco spaventoso; reso ancora più spettrale dalla presenza di profondi dirupi e numerosi crateri[15]. Nei progetti americani la conquista dell’isola avrebbe dovuto concludersi nell’arco di una decina di giorni, ma le cose non andarono secondo i piani. L’intera area era presidiata da una guarnigione di oltre 21.000 uomini. Gli americani provarono con ogni mezzo e con armi potentissime a stanare i nemici dalle loro postazioni scavate nella terra. Lanciafiamme e granate a mano si unirono ai veri protagonisti di questo sanguinoso scontro, i carri Zippo, capaci di sparare a 150 metri di distanza un liquido incandescente[16]. Tutto questo però non fu abbastanza di fronte alla determinazione dell’avversario, particolarmente abile nella lotta corpo a corpo e nei combattimenti all’arma bianca[17]. Il 21 febbraio, alcuni attacchi kamikaze affondarono la portaerei di scorta USS Bismark Sea e provocarono seri danni a buona parte della flotta navale[18]. Furono necessari diversi giorni per guadagnare terreno all’interno di quello spazio angusto; anche perché i soldati giapponesi non aspettavano altro che uscire dai loro precari rifugi per attaccare gli invasori alle spalle o farsi saltare in aria. Solo il crollo parziale di alcune gallerie interne al Suribachi facilitò l’avanzata americana[19]. Obiettivo per nulla scontato, anche perché Kuribayashi aveva esortato i suoi a “difendere ogni angolo dell’isola sino alla morte”.[20] Esortazione che non sarebbe rimasta inascoltata. Il fatto che i giapponesi, trincerati sul monte per giorni e giorni, si sarebbero battuti strenuamente sacrificando la loro stessa vita, non dovrebbe suscitare stupore. Dal popolo giapponese discendono infatti i più coraggiosi quanto disciplinati guerrieri di sempre, pedine fondamentali degli eserciti medievali nipponici[21]: i samurai. I membri di questa antica casta militare non conoscevano la parola resa e, non meno importante, possedevano una particolare predisposizione al sacrificio. Fin da piccoli, precisamente dall’età di 10 anni,[22] i futuri soldati venivano sottoposti ad un addestramento rigido e decisamente intenso. I loro corpi non erano estranei alle gelide acque delle cascate, sotto il cui getto rimanevano seduti per ore, al solo scopo di fortificare corpo e spirito.  Questi indistruttibili guerrieri erano altresì abituati al digiuno, resistendo senza cibo per giorni, con sorprendente autocontrollo e spirito di abnegazione[23]. Somma di tutte le virtù e massimo rappresentante dei valori cavallereschi, il samurai mette al primo posto l’onore, il coraggio, la lealtà[24]. Veri e propri “professionisti della spada”, guerrieri-servitori, che non chiedevano altro di servire il loro signore e padrone (spesso il titolare di un feudo e membro della corte imperiale, detto daymo), verso il quale erano profondamente dediti e legati da un giuramento di assoluta fedeltà[25]. Non a caso il termine samurai deriva dal verbo samurau, che vuol dire “servire”[26]. Esisteva poi un vero e proprio codice di condotta che prende il nome di bushido o shido, la “via del guerriero”, onorato dai samurai più rispettabili.[27] A costoro veniva richiesto di combattere fino all’esalazione dell’ultimo respiro. La cattura, che avrebbe portato all’umiliante condizione della prigionia, non era assolutamente contemplata. Non vi era molta scelta: la morte per mano del nemico o autoinflitta. La modalità più in uso dai samurai per togliersi la vita era il seppuku o harakiri,[28] discutibile pratica basata sull’apertura o recisione del ventre. Un rituale cruento, considerato dalla civiltà occidentale un vero e proprio atto disumano, ma che per questi intrepidi eroi del Sol Levante rappresentava il modo più onorevole e dignitoso di morire. D’altra parte la morte era considerata la compagna più fedele del samurai, l’unica vera certezza di un’esistenza vissuta così coraggiosamente. Questa iconica figura cominciò a perdere prestigio intorno al 1868,[29] data corrispondente alla fine del governo militare dello Shogun.[30] Tuttavia, lo spirito di questi antichi combattenti è ancora vivo nella cultura dell’odierno Giappone e i suoi insegnamenti decisamente radicati in una parte del suo popolo[31]. Si narra che durante la seconda guerra mondiale, afflitti per l’onta della sconfitta, alcuni soldati praticassero harakiri, proprio perché ancora fedeli ai principi del bushido.[32] I soldati di Kuribayashi sapevano di dover difendere la loro brulla isola fino all’estremo sacrificio, esattamente come i samurai, al tempo, difesero le loro patrie terre. L’importanza dell’isola era legata sostanzialmente alla sua posizione strategica. Ma era davvero necessario impiegare un numero così elevato di mezzi, uomini e risorse per occupare un territorio tanto impervio?[33] E perché i giapponesi lo difesero con instancabile tenacia? Per rispondere a queste domande è opportuno ricordare la distanza di Iwo Jima da Tokyo, vale a dire 1.200 km circa.[34] Una tratta non particolarmente breve, ma facilmente percorribile dai Boeing B-29 Superfortress: bombardieri quadrimotore a elica, avanzati ed efficienti, pronti a colpire direttamente al cuore il Giappone.[35] Una volta conquistato l’isolotto, questi aerei potevano farvi scalo per effettuare rifornimento, per poi decollare verso l’obiettivo da bombardare; oppure contare sulla disponibilità di alcune basi per eseguire eventuali atterraggi in condizioni di emergenza[36]. Alla luce di tutto questo, è facilmente intuibile quanto questo piccolo avamposto vulcanico fosse, all’epoca dei fatti, non solo utile, ma assolutamente necessario per l’offensiva statunitense. Offensiva che il maggiore generale Harry Smith condusse con straordinaria abilità. Dopo l’ultimo disperatissimo attacco banzai guidato da Kuribayashi, l’alto comando statunitense poté dichiarare l’isola occupata. La battaglia giunse al suo epilogo il 26 marzo 1945,[37] dopo settimane di furiosi combattimenti e un susseguirsi di assalti frontali.[38] Fu una vittoria significativa ma fin troppo feroce. Il macabro bilancio ne è la testimonianza più eloquente: tra gli americani si contarono 6281 morti e 19.216 feriti, tra i giapponesi 21.304 morti e 212 prigionieri.[39] In quelle tragiche giornate, in cui il frangersi delle onde sulla costa sembrava scandire il tempo lentamente, si è scritta una delle pagine più drammatiche della storia contemporanea. Ma la battaglia di Iwo Jima non è solo la cronaca di uno scontro, è anche (e soprattutto) una storia di uomini comuni, dotati però di straordinaria motivazione. La stessa motivazione che spinse i due schieramenti nemici ad affrontarsi in una lotta estenuante, di incredibile intensità, in cui la differenza tra vinti e vincitori è solo una questione di punti di vista.


Note

[1]
Cfr. E. Rosati – A. Carassiti, Dizionario delle battaglie, Newton, Roma, 1996.

[2]
http://www.instoria.it/home/battaglia_iwo_jima.htm

[3]
Cfr. A. Sturgeon et al., La Seconda guerra mondiale. Dalla guerra lampo a Hiroshima, Gribaudo, Milano, 2019.
[4]
http://www.instoria.it/home/battaglia_iwo_jima
[5]
https://www.nationalgeographic.it/la-vera-storia-di-una-delle-foto-di-guerra-piu-iconiche-di-sempre
[6]
Cfr. E. Rosati – A. Carassiti, Dizionario delle battaglie, cit.
[7]https://it.insideover.com/schede/difesa/marines-degli-stati-uniti.html
[8]
Con il termine si fa riferimento al soldato dei marine (https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=jarhead)
[9]
Cfr. A. Sturgeon et al., La seconda guerra mondiale. Dalla guerra lampo a Hiroshima, cit.
[10]
https://www.nationalgeographic.it/la-vera-storia-di-una-delle-foto-di-guerra-piu-iconiche-di-sempre
[11]https://storiestoria.wordpress.com/tag/tenente-generale-tadamichi-kuribayashi/
[12] Cfr. A. Sturgeon et al., La seconda guerra mondiale. Dalla guerra lampo a Hiroshima, cit.
[13]http://www.instoria.it/home/battaglia_iwo_jima.htm
[14]https://storiestoria.wordpress.com/tag/tenente-generale-tadamichi-kuribayashi/
[15]
Cfr. E. Rosati – A. Carassiti, Dizionario delle battaglie, cit.
[16]
Cfr. A. Sturgeon et al., La seconda guerra mondiale. Dalla guerra lampo a Hiroshima, cit.
[17]
https://www.storicang.it/a/iwo-jima-battaglia-decisiva-della-seconda-guerra-mondiale_16616
[18]
Cfr. E. Rosati – A. Carassiti, Dizionario delle battaglie, cit.
[19]http://www.instoria.it/home/battaglia_iwo_jima.htm
[20] E. Rosati – A. Carassiti, Dizionario delle battaglie, cit. p. 144.

[21]https://www.worldhistory.org/trans/it/1-15875/samurai/
[22]https://www.worldhistory.org/trans/it/1-15875/samurai/
[23] https://www.karatedomagazine.com/2020/10/30/la-via-della-salute-per-il-samurai/
[24] https://www.lunieditrice.com/samurai-il-guerriero-giapponese-significato-storia-cultura-harakiri-sakura-armi/
[25]
Ibidem.
[26]https://www.worldhistory.org/trans/it/1-15875/samurai/
[27]Ibidem.
[28]https://www.lunieditrice.com/samurai-il-guerriero-giapponese-significato-storia-cultura-harakiri-sakura-armi/
[29]Ibidem.
[30]
Nell’antico Giappone, titolo che veniva conferito al capo di una spedizione bellica durante il suo svolgimento:
divenuto titolo ereditario, coloro che ne erano investiti governarono in pratica il paese, negli anni dal 1158 al 1868 (https://www.treccani.it/vocabolario/shogun/)
[31] https://www.worldhistory.org/trans/it/1-15875/samurai/
[32]
https://www.geopop.it/chi-erano-davvero-i-samurai-i-mitici-guerrieri-giapponesi/
[33]https://storiestoria.wordpress.com/tag/tenente-generale-tadamichi-kuribayashi/

[34] L’isola si trovava sulla rotta dei B29 diretti dalle Marianne in Giappone. Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare il seguente link: https://storiestoria.wordpress.com/tag/tenente-generale-tadamichi-kuribayashi/
[35]http://www.instoria.it/home/battaglia_iwo_jima.htm
[36]
Cfr. E. Rosati – A. Carassiti, Dizionario delle battaglie, cit.
[37]
https://www.storicang.it/a/iwo-jima-battaglia-decisiva-della-seconda-guerra-mondiale_16616
[38]https://storiestoria.wordpress.com/tag/tenente-generale-tadamichi-kuribayashi/
[39]
E. Rosati – A. Carassiti, Dizionario delle battaglie, cit. p. 144.


Sara Perruzza è docente di Lettere, con contratto a tempo determinato, presso l’Istituto Professionale Alberghiero “G.Casini” di La Spezia.
Contatto: sara.peruz@hotmail.it


  • BIBLIOGRAFIA
    Barbagallo F., Storia contemporanea Storia contemporanea: dal 1815 a oggi, Carocci, Roma, 2013.
  • Liddell Hart B. H., Storia militare della Seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1970.Rosati
  • E. – Carassiti A., Dizionario della Battaglie, Newton, Roma, 1996.
  • Sturgeon A. et al., La seconda guerra mondiale: dalla guerra lampo a Hiroshima, Gribaubo, Milano, 2019.

SITOGRAFIA

  • http://www.instoria.it/home/battaglia_iwo_jima.htmhttps://www.storicang.it/a/iwo-jima-battaglia-decisiva-della-seconda-guerra-mondiale_16616
  • https://it.quora.com/Per-cosa-%C3%A8-conosciuto-il-corpo-dei-Marines
  • https://storiestoria.wordpress.com/tag/tenente-generale-tadamichi-kuribayashi/https://www.aivulc.it/dettnews-ultime_lettere_da_iwo_jima/4_500/it/

VIDEOGRAFIA

19 febbraio 1945 | LA BATTAGLIA DI IWO JIMA di Dario Marletta (visitato il 2 settembre 2024)

10 Commenti

  1. Articolo scritto con competenza e dovizia di particolare, con uno stile narrativo appassionante. Complimenti all’autrice, spero di poterne leggere molti altri!

  2. Una eccellente sintesi di questa sanguinosa battaglia, è stata portata alle cronache dal film di Clint Eastwood uno dei film di guerra più interessanti perché ci ha fornito due storie parallele di soldati americani attaccanti e soldati giapponesi difensori. Anche la conquista di Okinawa è sembrata una fotocopia della battaglia di Iwo.Jima

  3. Articolo interessante e dettagliato, di particolare interesse la parte dei ‘giovani samurai’, per spiegare l’origine dei soldati nella battaglia svoltasi, complimenti all’autrice..

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