Il caso Girolimoni. Una storia dimenticata

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di Emanuele Federici

Emma Giacomini, Bianca Carlieri, Rosa Pelli, Elsa Berni, Celeste Tagliaferro, Elvira Coletti, Armanda Leonardi. Tutti questi sono nomi di bambine ritrovate morte tra il 1924 e il 1927 a Roma, dopo che i loro piccoli corpi erano stati oggetto di violenza di colui che i giornali nazionali chiamavano il “mostro di Roma”.
La prima ad essere uccisa fu Emma Giacomini, di 4 anni, portata via mentre giocava in un giardino con delle sue amiche, il 31 marzo 1924, e ritrovata la sera stessa nei pressi di Monte Mario. Tre mesi dopo, il 4 giugno1924, toccò alla piccola Bianca Carlieri, chiamata “la biocchetta”, di 3 anni, anch’ella portata via da un uomo con un cappotto grigio, a via del Gonfalone, nel rione Ponte; quando la vede allontanarsi con uno sconosciuto la sua amica Valeria le chiede “’do vai biocchè?” e le ultime parole che sentiranno uscire dalla sua bocca saranno “vado ‘co zio mio che me compra ‘e caramelle”. Il corpo di Bianca fu ritrovato il giorno seguente, davanti la basilica di San Paolo Fuori le Mura, strangolata e con i genitali lacerati. Sulle pagine del giornale “Nuovo Paese” si legge:

Alle grida della madre angosciata sono accorsi i militi della milizia nazionale di servizio alla Casa dei corrigendi delle carceri nuove e subito sono iniziate le indagini. Si è così potuto sapere che, verso le 22, un giovane alto, slanciato, vestito con abito grigio, aveva transitato per via del Gonfalone”.

Altri omicidi analoghi si registreranno fino al 1927, per ben tre anni, creando non pochi disagi al regime fascista, il quale dovrebbe garantire l’ordine ma che in questo caso non riesce a trovare il colpevole. La Polizia, infatti, brancola nel buio e nel frattempo si assiste ad una psicosi generale, con le madri che serrano le proprie figlie dentro casa. Come dicevamo, in tutto ciò, gli omicidi continuano. Cinque mesi dopo la morte di Bianca viene uccisa un’altra bambina, Rosina Pelli, di soli due anni, portata via da un uomo con cappello e giacca marrone sotto il colonnato di San Pietro, dove stava giocando con sua sorella Olga e altre amiche. Il cadavere viene ritrovato il giorno dopo in campagna, nel “Prataccio” della Balduina. Anche in questo caso vengono trovati segni di violenza sul corpo della piccola. La stampa cavalca l’onda del timore generale; sui giornali di quei giorni infatti si legge:

Un delitto orrendo, uno di quei delitti che commuovono d’istinto l’anima delle folle, è stato consumato stanotte da un essere inqualificabile che usurpa l’umanità la qualifica di uomo. È un morto vivo che cammina, un fantasma che si muove in mezzo a noi senza che nessuno riesca a vederlo. Un mostro insidioso e finora ignoto che terrorizza le mamme e le bimbe di Roma”.

Ai funerali di Rosina partecipano migliaia di persone, tra cui la regina Elena di Savoia, la quale dona una lapide in onore della bambina presso il cimitero del Verano. Nel frattempo, mentre la Polizia non riesce a venire a capo del problema, si consumano nuovi omicidi. Tra questi vi è quello di Elsa Berni, di 6 anni, sedotta vicino casa sua mentre giocava nei pressi di una fontanella, e ritrovata morta il giorno dopo sulle rive del Tevere. Il regime non ne può più, la pressione è insopportabile. Mussolini decide quindi di porre una taglia di 50.000 lire sulla testa dell’assassino. Ma gli omicidi non si fermano. La nuova vittima si chiama Celeste Tagliaferro, di soli 18 mesi, rubata direttamente dalla culla; verrà ritrovata poco dopo agonizzante presso i campi di via Tuscolana. È ancora viva, ma a causa delle violenze subite morirà qualche giorno dopo in ospedale. Il nuovo colpo del killer è poi Armanda Leonardi, di 5 anni, ritrovata morta ai piedi dell’Aventino, anche lei con gli stessi segni di violenza sessuale delle altre vittime. Il governo a questo punto decide che è arrivata l’ora di porre fine a questo caso. L’occasione arriva quando il proprietario di un’osteria romana, Giovanni Massacesi, vedendo la foto della piccola Armanda sui giornali, la riconosce in quanto la sera prima era stata nel suo locale; si reca dunque dalla Polizia e denuncia l’uomo che stava con lei, di circa 40 anni e con i baffi. In commissariato si reca anche l’ing. Pacciarini, il quale denuncia un uomo che continuamente molesta la sua domestica di 12 anni. La Polizia decide dunque di seguire quest’uomo e, una volta riconosciuto, decide di arrestarlo. Il suo nome è Gino Girolimoni, un fotografo romano. Successivamente viene perquisita la sua abitazione e, vedendo un armadio ricco di vestiti di vari colori diversi viene riconosciuto come “trasformista” e dunque maniaco. È fatta, il regime ha trovato il suo colpevole. Sulla prima pagina de Il Messaggero dell’11 maggio 1927 viene scritto:

Certamente l’arrestato è una delle più sinistre e spaventose figure di delinquenti che l’umanità ricordi. Ed è con terrore e raccapriccio infiniti che questo viene constatato”.

Da questo momento parte la macchina denigratoria nei confronti di Girolimoni. I giornali creano un vero e proprio mostro: “il papà non l’ha mai riconosciuto”, “è cresciuto in un orfanotrofio”, “è celibe”, “in casa ha fotografie delle sue amanti nude” (…). La sua immagine, e la sua depravazione, diviene di dominio pubblico, lasciata in pasto alla gogna popolare. Al regime fa comodo questa situazione, dal momento che tutta la popolazione focalizza l’attenzione su questa vicenda, distogliendola da episodi come l’assassinio di Matteotti, avvenuto proprio in quegli anni. L’uomo viene rinchiuso in isolamento nel carcere di Regina Coeli, a Roma, dove subirà numerose violenze nel corso degli interrogatori, in cui si dichiarerà sempre innocente. Ma non tutti credono alla colpevolezza di Girolimoni. Non ci crede ad esempio il commissario Giuseppe Dosi, che inizia a condurre indagini parallele a quelle ufficiali. Molte cose a Dosi non quadrano; innanzitutto, l’identikit fornito da varie testimonianze non corrisponde a quello del fotografo romano. Poi si reca nei luoghi dei delitti e constata che vicino un cadavere era stato trovato un asciugamano con sopra le iniziali “R.L.”, mentre in un altro luogo un libro, una pubblicazione religiosa, in lingua inglese. Quest’ultimo indizio scuote Dossi, il quale contatta la casa editrice e scopre che a Roma questa collana arriva solamente a tre persone per corrispondenza, tra cui il pastore anglicano Ralph Lyonel Brydges (R.L.). Quest’ultimo ha 68 anni, è sposato e si trova in vacanza a Capri con la moglie. In quegli stessi giorni viene denunciato alla Procura di Napoli per aver importunato una ragazzina di 7 anni. La sua fortuna è quella di essere protetto dal console inglese a Roma, oltre al fatto che il regime fascista non ha alcuna intenzione di aprire un contenzioso con il governo britannico. Perciò Brydges viene prosciolto, ma Dosi è sempre più convinto che sia lui il vero “mostro di Roma”, non Girolimoni. Si reca quindi a Capri per raccogliere informazioni utili da portare al capo della Polizia, Arturo Bocchini, ma questi gli risponde “pensi alla famiglia, non ci pensi più”. Dosi non molla e riesce a farlo arrestare al porto di Genova, da cui stava tornando nel suo paese. Anche in questo caso viene però rilasciato. Pure il commissario a questo punto diventa un problema per il regime fascista, che decide di farlo internare in un manicomio criminale, dove resterà per 17 mesi. A ribaltare tutto ci pensa la Corte d’Appello, che l’8 marzo 1928, dopo 11 mesi di carcere, proscioglie Girolimoni per non aver commesso il fatto. A questo punto il governo cambia strategia e, dopo la gogna, punta sulla strategia dell’oblio. Sui giornali non si parla più del mostro di Roma e la notizia della sua rimessa in libertà non viene nemmeno citata, se non in casi eccezionali tra le ultime pagine. Il fotografo cercherà di ricostruirsi una nuova vita, ma per la popolazione resterà sempre un maniaco e un pedofilo. Morirà solo, all’età di 72 anni, nel suo appartamento romano.


CV personale: Emanuele Federici, Storico, iscritto alla facoltà di Storia e Società presso l’Università degli Studi Roma Tre.


BIBLIOGRAFIA

  • Dosi, Il mio testamento autobiografico, Vasto, 1938;
  • Damiani, G. Strazzulla, Girolimoni: il mostro e il fascismo, Bologna, Cappelli, 1972;
  • Agostini, F. Sciarelli, Il mostro innocente. La verità su Girolimoni condannato dalla cronaca e dalla storia, Milano, Rizzoli, 2010.

SITOGRAFIA

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