IL RUOLO DELLA DONNA

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nella Guerra di Liberazione e di Resistenza

di Marco Lodi

Trentacinquemila le partigiane, inquadrate nelle formazioni combattenti; 20.000 le patriote, con funzioni di supporto; 70.000 in tutto le donne organizzate nei Gruppi di difesa; 19 le medaglie d’oro, 17 quelle d’argento; 512 le commissarie di guerra; 683 le donne fucilate o cadute in combattimento; 1.750 le donne ferite; 4.633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 1.890 le deportate in Germania. Sono questi i numeri (dati dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) della Resistenza al femminile, una realtà poco conosciuta e studiata[1].

L’8 settembre 1943 ogni italiano, sia in Patria che fuori, si trovò solo con sé stesso[2].

La Guerra di Liberazione e di Resistenza in Italia (1943-1945) influenzò il ruolo della donna ottenendo un cambiamento radicale nella nostra società, dal periodo fascista al secondo dopoguerra.

La donna, prima della dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940[3], era relegata in casa con il ruolo di “essenzialmente madre” votata a un destino incombente di gravidanze accelerate per sostenere la missione imperiale dell’Italia, oltre che a difendere la reputazione di “virilità” degli italiani[4], addetta alle faccende domestiche e con possibilità di accedere all’istruzione secondaria o universitaria soltanto se di origini benestanti e razza ariana[5]. Inoltre, dopo la fondazione dei Fasci Femminili (1921), molti politici ed intellettuali si erano ricreduti del ruolo della donna durante la Grande Guerra. Infatti, la mano d’opera femminile era notevolmente aumentata nelle industrie di guerra: dal 1914 al 1916, ad esempio, le addette alla fabbricazione di munizioni erano salite da 1.760 a 90.000, per toccare le 120.000 unità nel maggio 1917. Ma era soprattutto nelle campagne, che nonostante la pesantissima sottrazione di braccia maschili, le donne erano riuscite a limitare le perdite di produzione di appena il 3% rispetto al periodo prebellico. Anche se il Manifesto-programma del Partito politico futurista del settembre 1918 prometteva il “divorzio facile”, la “svalutazione graduale del matrimonio per l’avvento graduale del libero amore e del figlio di Stato” e se la cosiddetta Carta del Carnaro[6] dei primi anni ’20 proclamerà l’eguaglianza civile e politica della donna, inclusi il diritto di voto attivo e passivo e, d’altro canto, il dovere di prestar servizio militare fra i diciassette e i quarantacinque anni, un punto qualificante del Programma fascista del giugno 1919 è la richiesta di “voto ed eleggibilità per le donne”. Comunque, Mussolini dichiarò di non aver mai trovato, nelle sue peregrinazioni, “una donna che abbia chiesto il diritto di voto”. Tuttavia, l’eventuale richiesta non sarebbe andata a buon fine in quanto la riforma podestarile[7] dell’anno successivo abolirà le elezioni amministrative.

Lo schema di Statuto dei Fasci Femminili, pubblicato sul Popolo d’Italia del 14 gennaio 1922, precisa a chiare lettere che, sebbene ammessi alle adunate e adunanze dei Fasci, i gruppi femminili non possono prendere iniziative di carattere politico, essendo loro compito il coordinare, sotto il controllo dei Fasci, le iniziative di propaganda, beneficenza e assistenza. Il Programma-statuto del consistente ed attivo Gruppo Femminile romano, datato 4 dicembre 1921, è non meno esplicito: La donna fascista […] – recita infatti – eviterà, quando non sia richiesto da una assoluta necessità, di assumere atteggiamenti maschili e di invadere il campo dell’azione maschile, perché sa che la donna può molto più giovare all’ideale per cui lavora se cerca di sviluppare in bene le sue attitudini femminili, anziché cimentarsi nel campo dell’azione maschile, dove riuscirebbe sempre imperfetta e non riscuoterebbe la fiducia necessaria allo svolgimento della sua propaganda […]. Le donne del Gruppo Femminile Fascista non vogliono essere politicanti.

Come scrive Valeria Benetti Brunelli[8], decana dell’associazionismo femminile: La visione dell’eroe, del milite, del soldato occupò [nel primo dopoguerra] il posto di centro. La donna non mancò, ma in seconda linea, là ove il soldato dettava le sue direttive nette, precise; legata dalla sua ardente passione patria alla più austera disciplina, la donna si tirò indietro. In compenso, le fu offerto definitivamente il campo delle opere assistenziali, nel senso che le si chiusero ermeticamente tutti gli altri: del resto – come asserisce la Castellani – la donna ha per sua natura tendenza ad occuparsi dell’assistenza sociale e dell’educazione della gioventù.

Eloquente una vignetta “umoristica” apparsa sul periodico Marc’Aurelio[9] dove i protagonisti sono marito e moglie. Lui legge, comodamente seduto su un divano, un quotidiano e, appena terminata la lettura lo consegna alla moglie la quale lo appallottola e lo getta nel camino per attizzare il fuoco.

Durante il periodo bellico italiano sui vari fronti (1940-1943), la donna dovette accettare il nuovo ruolo di operaia in fabbrica, spazzina o conduttrice di tram. Quando poi i pesanti bombardamenti alleati arrivarono in casa e si profilava una imminente sconfitta, il disagio femminile iniziò a diventare odio e rancore verso il regime. Figli, mariti e fratelli inviati sui fronti a morire per una guerra inutile e mal organizzata.

Con la crisi dell’armistizio le donne iniziano ad uscire di casa e partecipano alla vita politica e di lotta partigiana, aiutare i deportati e i prigionieri militari, fare arrivare messaggi, viveri, armi e munizioni. Ma non dimentichiamo anche la fragilità di essere donna in questo periodo storico, come citato dal contributo di Cinzia Venturoli dal titolo “Abusi e molestie sessuali lungo la Linea Gotica”[10] troviamo racconti di violenza come l’arresto, le torture, la morte, ma nient’altro, in un silenzio indicativo. […] si può affermare che lo stupro sia stato un avvenimento piuttosto diffuso durante il conflitto. […] sovente le testimoni giudicano il loro dramma personale non importante. Ma rimandiamo il lettore alla consultazione del testo originale.

La fame e la guerra spingono dunque le donne fuori di casa, le obbligano a cercare un lavoro, a prendere decisioni, ad aiutare coloro che sparano o a sparare loro stesse; le obbligano a uscire dal ruolo che era stato loro affidato dal fascismo e dalla Chiesa, di «moglie e madre esemplare».

Questa uscita dal ruolo non avviene sempre consapevolmente. In molti casi, al contrario, si giustifica proprio col desiderio di mantenere fede fino in fondo a una tradizionale immagine di sé. Ma, una volta vissuta, la trasgressione incide nella coscienza di tutte, rivelando l’esistenza e la possibilità di percorsi individuali sconosciuti, certo più accidentati ma anche più gratificanti di quelli che alle donne erano riservati in passato. La necessità diviene o può divenire allora una scelta, una cosciente assunzione di nuove responsabilità, l’apertura di un orizzonte nuovo, di un modo diverso di essere donna e persona.

Con il ritorno alla normalità questo orizzonte, almeno intravisto, si chiude. Ci vorranno molti anni, almeno una generazione, perché le donne, a livello di massa, siano tentate ancora una volta dal gusto della trasgressione e dell’autonomia[11].


[1] Sezione centrale stampa e propaganda del PCI per il 1973 anno antifascista (a cura), Partigiane della libertà, Grafico editoriale F.lli Spada, Ciampino-Roma, 1973, p. 196.

[2] Angelo Antonio Fumarola, Essi non sono morti. Le medaglie d’oro della Guerra di Liberazione, Poligrafico, Roma, 1945, p.11.

[3] La dichiarazione di guerra dell’Italia a Gran Bretagna e Francia venne annunciata lunedì̀ 10 giugno 1940 nell’errata convinzione che le sorti della guerra erano già decise. Alle 18 di quel 10 giugno, Mussolini, annuncia la dichiarazione di guerra dal balcone di Piazza Venezia: Combattenti di terra, di mare e dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania. Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già ̀ stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia […].

[4] Nel 1926, viene introdotta la tassa sul celibato per poter incrementare l’espansione della popolazione italiana il cui obiettivo era quello di raggiungere i 60 milioni (40 milioni in quegli anni)

[5] Denominazione introdotta nell’uso verso la metà del sec. 19° per indicare il popolo che, secondo alcune teorie, avrebbe importato nell’India le lingue indoeuropee, provenendo in epoca preistorica dall’Europa centro-settentrionale, estesa più tardi, in tempi di razzismo e di antisemitismo, soprattutto a significare «appartenente alla razza pura», «non ebreo»: essere, dichiararsi ariana, o di razza ariana (Fonte: Treccani).

[6] Carta del Carnaro. “Testo predisposto da Alceste De Ambris” [collegati) (verificato il 21 marzo 2024)

[7] 150anni.it, La crisi dell’Italia liberale e il fascismo in https://tinyurl.com/vtr9sfw6 (verificato il 21 marzo 2024)

[8] Valeria Benetti Brunelli fu docente di pedagogia e di storia della pedagogia, collaborò con Giuseppe Lombardo Radice alla riforma della scuola elementare, e pubblicò numerose opere sull’argomento.

[9] Senato.it, “Biblioteca – Un giornale al mese – Archivio – Matite appuntite. Marc’Aurelio” (collegati) (verificato il 21 marzo 2024)

[10] Gagliani, D. (a cura) (2006). Guerra e Resistenza Politica. Storie di donne, Alberti editore, Reggio Emilia, pp.79-88.

[11] Mafai, M. (1987). Pane nero. Donne e vita quotidiana nella Seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, pp. 4-5.


Autore: Marco Lodi capo tecnico in Telecomunicazioni e laureato in Scienze storiche del territorio e per la cooperazione internazionale (Univ. Roma Tre). Vice direttore Centro Studi e ricerche storiche sulla Guerra di Liberazione (ANCFARGL)
Foto di Marco Lodi: Donne al Sacrario di Monte Lungo (SA)
Contatto: marco.lodi@gianophaps.it


Bibliografia
Romoli, A. (2017). Il diritto di parlare. Paola Del Din, una vita in prima linea dalla Resistenza alla Guerra Fredda, Gaspari, Udine.
Rossini, I. a cura di (2014). Un fiore che non muore. La voce delle donne nella Resistenza italiana, Red Star Press, Roma.
Saba, M.A. (1998). Partigiane. Le donne della Resistenza, Mursia, Milano.

Sitografia (Visitato il 22 marzo 2024)
Mostra Donne decorate di Medaglia d’Oro al Valore Militare concessa in comodato d’uso gratuita (Collegati)
ANCFARGL Sezione di Roma, Donne decorate di MOVM (Collegati)
Madri, staffette, combattenti: la Liberazione delle donne (Collegati)

Podcast correlato
Guerra. Violenza. Vergogna. è un podcast sulla storia delle violenze sessuali subite dalle donne italiane tra il 1943 e il 1945 da parte dei nazi-fascisti e degli alleati.

Filmografia
Video sulle 19 Donne decorate di Medaglia D’Oro per la Guerra di Liberazione e di Resistenza. Ricordiamo Maria Boni e Maria Plozner per la Grande Guerra. (Dur 7’58” COL.)

 

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