di Simone Girardi
Direttrice Luc’k-Rivne-Dubno-Ostroh, odierna Ucraina, 22 giugno 1941, ore 3:15.
Un tintinnar d’armi spezza il silenzio di una notte sovietica d’inizio estate. L’ordine dei generali von Mackensen e Kempff è perentorio: attaccare. Ha inizio l’offensiva nazista sul fronte orientale, nome in codice «Operazione Barbarossa». Cosa la precedette? Come cambiarono i rapporti tra le potenze europee alla vigilia dell’apertura del fronte orientale? Quali reazioni si registrarono nell’Italia fascista? La risposta che la Storia offre a questi quesiti, a 80 anni di distanza, si rivela ancora insufficiente innanzi a 95.000 soldati italiani che, dal «fronte di ghiaccio», non fecero ritorno.
Il 29 settembre 1938, giorno in cui fu siglato il patto di Monaco tra Francia, Gran Bretagna, e i due regimi italiano e tedesco, gli equilibri dell’ordine interbellico europeo erano già in una fase di sostenuto declino. Lo “spirito di Locarno”, sancito dal trattato multilaterale del dicembre 1925, sembrò disfarsi come un castello di sabbia sotto le numerose divergenze tra potenze che caratterizzarono gli anni Trenta. L’atteggiamento disteso verso il nazismo, mostrato a Monaco, da parte del primo ministro britannico Chamberlain non piacque a Stalin; in lui si sedimentò il sospetto che le due democrazie occidentali volessero spingere la Germania contro l’Urss. Fu questo decisivo passaggio a determinare l’iniziale alleanza tra i due paesi, unitamente alla disponibilità di Hitler a concedere territori all’Unione Sovietica, seguendo una politica di rapprochement che culminò nel patto di “non aggressione” Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939.
Come osservano gli storici Maria Teresa Giusti[1] e Aldo Giannuli[2], le reali ragioni alla base del patto sono da ricercarsi nella determinazione di sfere d’influenza che avrebbero comportato un «nuovo ordine» nel vecchio continente. Il testo del patto fu tenuto segreto, ma segnali indiretti non erano sfuggiti alla Polizia Politica fascista. Nell’opera Le spie del duce (1939-1943). Documenti segreti sulla Campagna di Russia, Aldo Giannuli offre un’inedita analisi di numerosi documenti e rapporti segreti dell’OVRA, ritrovati negli scantinati del Viminale. Un informatore “in camicia nera”, il 7 luglio 1939, scrive: «[…] molti amici e conoscenti hanno saputo che in questi ultimi tempi Russia e Germania stavano per mettersi d’accordo per una ripartizione della Polonia […]. [Il] Governo italiano sarebbe contrario a tale ripartizione».[3]
La «svolta d’agosto» tra Germania e Urss segnò profondamente l’Italia: Mussolini stesso ‒ fautore di una linea anticomunista, ma non per questo “antisovietica” tout court ‒ ne rimase silentemente colpito. Cosa rimaneva di quel patto anti-Comintern, siglato dall’Italia l’anno prima, il 6 novembre 1937? Un disastro, un «mostruoso connubio» lo definì Galeazzo Ciano.
Per Hitler, tuttavia, il patto Molotov-Ribbentrop era di focale importanza: significava scongiurare quell’Einkreisung, quel “rischio accerchiamento”, derivante da una tensione bifronte, tanto a ovest (con Francia e Gran Bretagna) quanto a est (con l’Urss).
Quali furono, dunque, le ragioni che spinsero il Führer a imbastire una mastodontica operazione militare contro quella stessa potenza protagonista, due anni prima, del patto di “non aggressione”? La risposta si ritrova in due espressioni diventate slogan dell’imperialismo nazista: Lebensraum, lo «spazio vitale», e Drang nach Osten, la «spinta verso est». I rapporti tra “opposti regimi” si deteriorarono nella primavera 1940. Il 25 settembre, l’informatore 282 Elvira Gottardi riporta: «Negli ambienti militari circola insistente la voce […] che la Russia avrebbe mobilitato […] 200 divisioni […] sul confine tedesco […]. Per contrapposto altre voci […] affermano che la Germania starebbe anche essa concentrando truppe sul confine russo».[4]
La crisi iniziava a manifestarsi in tutta la sua gravità, e un viaggio di Molotov a Berlino non quietò affatto le tensioni. Dall’inizio del giugno 1941 gli allarmismi si tradussero in prove concrete. Il Terzo Reich, nonostante i molteplici fronti di guerra in corso, era pronto a ordinare l’attacco sul fronte orientale.
3 milioni di uomini, 690.000 soldati degli eserciti alleati, 145 divisioni tedesche, di cui 19 corazzate, 15 motorizzate, 6 di sicurezza, 2 da montagna; 3.400 carri armati, 600.000 automezzi, 250 semoventi, 3.900 aerei, 7.150 cannoni.[5] L’imponenza delle forze mobilitate ebbe un solo, altrettanto imponente, corrispettivo: il fallimento del tentato Blitzkrieg, la «guerra lampo» voluta da Hitler. Anche la sola conquista della Russia europea, fino agli Urali, sarebbe stata utopia, nei pochi mesi estivi a disposizione del Führer; il fronte avrebbe raggiunto l’estensione di 4.500 chilometri, il territorio avrebbe compreso una superficie di 6 milioni di chilometri quadrati. Ancor peggiore fu l’ingenuità dei vertici militari, che non considerarono l’alleato numero uno dell’Armata Rossa: il rigido clima dell’inverno russo, con temperature fino a 40 gradi sotto lo zero termico.
La guerra al fronte russo poté definirsi, fin dai primi giorni, «guerra di violenta distruzione»: 27 milioni furono le vite umane che il conflitto sacrificò, numerosi furono i crimini commessi, in modo particolare contro la cospicua popolazione ebraica residente, lungo il percorso, dai tedeschi delle SS, delle Einsatzgruppen, e dalla stessa Wehrmacht. Uno dei principali modus operandi utilizzato dall’esercito tedesco invasore, verso la popolazione civile russa e ucraina, fu la morte per stenti, per fame.
La sorprendete velocità con la quale le truppe tedesche penetrarono nei territori dell’odierna Ucraina, nei primi giorni di conflitto, è imputabile all’ingiustificato attendismo di Stalin, diffidente non soltanto verso i suoi – capaci – generali Žukov e Timošenko, ma anche verso il più potente uomo delle democrazie europee: Wiston Churchill. Quest’ultimo, insieme agli affidabili servizi segreti britannici a Berlino, fu liquidato da «l’uomo d’acciaio» di Mosca, che fino all’ultimo evitò di offrire al Führer qualsiasi pretesto per l’attacco.
Alle 7.15 del 22 giugno, l’inflessibilità di Stalin dovette cedere alla realtà dei fatti: «considerato l’attacco di inaudita audacia da parte della Germania» si ordinava all’Armata Rossa di attaccare e distruggere le forze nemiche.[6]
Il riconoscibile crepitio metallico dei temibili carri T-34 sovietici si fece largo nel silenzio della steppa. L’estate 1941, sul fronte orientale, si colorò di rosso: migliaia furono i caduti, in entrambi gli schieramenti.[7]
Il 9 luglio dello stesso anno, fu deciso che 62.000 soldati avrebbero dovuto contribuire in funzione antisovietica alla guerra del Führer; non bisognava risultare secondi a nessuno: il Corpo di Spedizione Italiano (Csir) era in partenza per il «fronte di ghiaccio».
Simone Girardi, laureando in “Scienze Storiche”, già dottore presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano con una tesi dal titolo “Lettere dalla steppa: storia di coloro che non tornarono. La Campagna di Russia nelle memorie degli italiani sul fronte del Don”. Da diversi anni si occupa di ricerche storico-militari sui soldati caduti e dispersi nei due conflitti mondiali. È socio ordinario di UNIRR (Unione Nazionale Reduci di Russia).
Contatto:: simone.girardi@gianophaps.it
Fonte immagine: Storica National Geographic | Storica Collegati
Bibliografia
- Maria Teresa Giusti, La campagna di Russia 1941-1943, Bologna, il Mulino, 2018.
- Aldo Giannuli, Le spie del duce (1939-43). Lettere e documenti segreti sulla campagna di Russia, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2018.
- Robert Kershaw, War Without Garlands: Operation Barbarossa 1941-1942, Manchester, Crécy Publishing Limited, 2020.
Sitografia (ultima visita 30 maggio 2024)
- Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia (UNIRR): Collegati
- Imperial War Museum, Operation Barbarossa And Germany’s Failure In The Soviet Union: Collegati
- RaiPlay, Passato e Presente, Operazione Barbarossa: Collegati
Podcast correlato
LETTERE dalla STEPPA: Storia di coloro che non tornarono. La Campagna di Russia (1941-1943) | Simone GIRARDI e Aldo LI GOBBI: Ascolta
Filmografia
- Attacco a Leningrado (Leningrad) di Alexander Buravsky, 2009, durata: 105 min.
- Vedi Titoli e scena iniziale.
Note
[1] Cfr. Maria Teresa Giusti, La campagna di Russia 1941-1943, Bologna, il Mulino, 2018.[2] Cfr. Aldo Giannuli, Le spie del duce (1939-43). Lettere e documenti segreti sulla campagna di Russia, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2018.
[3] Aldo Giannuli, Le spie del duce (1939-43), cit., p. 35-36.
[4] Ivi, p. 64.
[5] Cfr. M.T. Giusti, La campagna di Russia, cit., p. 55-60.
[6] Cfr. M.T. Giusti, La campagna di Russia, cit., p. 68.
[7] Cfr. Robert Kershaw, War Without Garlands: Operation Barbarossa 1941-1942, Crécy Publishing Limited, Manchester, 2020, passim.
Interessante
Grazie mille Raffaella! 🙂