di Simone Girardi
«Il Gran Consiglio del Fascismo, in seguito alla conquista dell’Impero, dichiara l’attualità urgente dei problemi razziali e la necessità di una coscienza razziale […]». Così, il massimo organo del Fascismo introduceva, il 6-7 ottobre 1938, la “Dichiarazione sulla razza”; un testo privo di valore legislativo, ma non certo mancante di ispirazioni pregresse, né di aspirazioni successive. La genesi della questione razziale in Italia ha diviso a lungo il dibattito storiografico, politico, sociale, generando fiumi di inchiostro da sorgenti diverse, ma convergenti in un percorso comune che vede delinearsi ‒ nelle sue tappe ‒ una vera “cronologia della vergogna”.
Costruire un itinerario sulla Storia degli ebrei in Italia nel corso del Novecento può apparire, al vigile occhio degli storici, quanto di meno opportuno si possa fare. Alla questione ebraica, si sono dedicati i più grandi studiosi dei secoli XIX e XX, da Renzo De Felice, con la sua monumentale opera “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo” (Einaudi, 1961), a Michele Sarfatti, che al tema ha donato la sua vita professionale, rendendo riduttiva qualsiasi singola citazione bibliografica, considerando la vastità delle sue pubblicazioni.[1]
In Italia il turning point normativo nel rapporto tra Stato ed ebrei si ebbe il 4 marzo 1848 con lo Statuto Albertino, che riconosceva l’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di confessione religiosa, cui fecero seguito due editti per il riconoscimento agli ebrei dei diritti civili e politici. Osserva lo storico Enzo Collotti: «Nell’Italia liberale gli ebrei non fecero fatica a conservare le loro tradizioni, la loro cultura […]»[2] anche se «La scarsa consistenza dell’antisemitismo nell’Italia liberale […] non autorizza a escluder[lo] dal novero dei problemi […]». Sul finire del XIX secolo, fu la «Civiltà cattolica» a parlare di «“turpitudini” dell’ebraismo», «“dominazione mondiale degli ebrei”», e «“occulta potenza giudaica”»:[3] anticipazioni del credo evoliano, proprio negli anni d’infanzia del maître à penser per eccellenza della dottrina filosofica fascista, Julius Evola!
Fu il fascismo – naturaliter – a interrompere il percorso dell’ebraismo verso la piena parificazione. Il punto di rottura nell’evoluzione liberale dei rapporti tra Stato e confessioni religiose fu rappresentato dai Patti Lateranensi del febbraio 1929: lo status privilegiato conferito alla religione cattolica riduceva le altre confessioni a “culti ammessi”.[4]
Il radicamento di teorizzazioni razzistiche, influenzate tanto dal cattolicesimo più intransigente quanto dal nazionalismo, vide nel periodo coloniale africano un terreno fertile per veri e propri “deliri razzisti”. Dalla «biotipologia umana» del medico fascistissimo Nicola Pende,[5] alle esternazioni di Lidio Cipriani, secondo il quale «l’inferiorità mentale dei negri non era dovuta a fattori di carattere culturale, pertanto non era modificabile con interventi esterni, ma era […] legata a condizioni biologiche originarie».[6] Anche Alberto Chiurco[7] poneva la questione razziale in termini biologici, auspicando una serrata lotta contro la contaminazione tra «la razza superiore italiana e le razze inferiori [nere]»[8]. Una “primitiva inferiorità” biologica che, insieme alla “fobia della contaminazione”, portò al RDL[9] 19 aprile 1937 relativo alle relazioni d’indole coniugale tra cittadini (italiani) e sudditi (africani), e alla legge 29 giugno 1939 sul «reato di “lesione del prestigio della razza”». Seguì la legge 13 maggio 1940 per la negazione della qualifica di “cittadino” al «meticcio», considerato ora “nativo” a tutti gli effetti. Un’apartheid tutta italiana, nei territori coloniali d’Africa.
Il lungo percorso evolutivo dell’antisemitismo italiano, che vede nella guerra d’Abissinia una svolta razzistica fondamentale, può costituirsi di quattro fasi: la propaganda contro gli ebrei, le leggi razziste, l’emarginazione 1940-1943, la deportazione 1943-1945.
La prima fase propagandistica vede come protagonisti illustri intellettuali della tradizione cattolico-nazionalista: i fascistissimi Paolo Orano con il suo “Gli ebrei in Italia”, e Giovanni Preziosi, alfiere dell’antisemitismo di stampo cattolico, principale voce del delirio antisemita, nelle sue becere pubblicazioni su «La Vita italiana». L’ultracattolico Gino Sottochiesa scriverà: «L’ebraismo è la quintessenza dell’anti-cristianesimo e dell’anti-cattolicesimo».[10]
Uno scenario che ci mostra personalità non certo prive di alta cultura costruire la fortezza dell’odio contro gli ebrei.
Testo simbolo dell’occultismo antisemita fu «I “Protocolli” dei “Savi anziani” di Sion», pubblicato come supplemento de «La Vita italiana» da Giovanni Preziosi, nel 1938, con una consistente introduzione di un personaggio che sarebbe diventato un riferimento dotto per l’estrema destra italiana e per la galassia neofascista: Julius Evola.[11]
Seguì l’anno della politica antiebraica: il 1938.
Il 13 luglio 1938 fu una data spartiacque. «Le razze umane esistono […]. Il concetto di razza è puramente biologico […]. La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana. Esiste ormai una pura “razza italiana”».[12] «Gli ebrei – si legge all’articolo 9 ‒ non appartengono alla razza italiana». Era il “Manifesto della razza”. Impedire qualsiasi contaminazione tra la pura razza italiana e l’ebraismo diventava vitale, nell’Italia del Duce.
Il tempo era maturo per il definitivo inasprimento dei provvedimenti antisemiti. Il 6 ottobre 1938, la “cronologia della vergogna” giunge al suo apogeo: il Gran Consiglio del fascismo rendeva pubblicamente nota la “Dichiarazione sulla razza”. Era la condanna, biologistica, contro gli italiani di confessione ebraica, preceduta da tre atti di ineludibile gravità: il censimento degli ebrei del 22 agosto, e i Regi decreti-legge del 5 e 7 settembre, rispettivamente “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” e “Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”.
Si giungeva all’esclusione con effetto immediato di «persone di razza ebraica» dalle scuole statali di ogni ordine e grado; era fatto divieto agli stranieri ebrei di fissare dimora nel regno.
Il «divieto di matrimonio tra italiane e italiani appartenenti a razze non ariane»; la «espulsione degli ebrei dal Partito fascista»; il «divieto per gli ebrei di essere possessori o dirigenti di aziende […] che impieghino cento o più persone»; il «divieto di prestare servizio militare»; l’allontanamento dai pubblici uffici; una «speciale regolamentazione per l’accesso alle professioni», segnarono di fatto la progressiva separazione civile, politica, sociale per gli ebrei italiani, mentre per gli ebrei stranieri la strada obbligata dal RDL 7 settembre 1938 era quella dell’espulsione.
Donne e uomini, bambini e bambine, giovani e anziani, italiani, privati della quotidiana esistenza, sottratti a quei diritti che pur lo Statuto Albertino del 1848 garantiva loro. Un biennio dopo il “tornante 1938”, con la guerra mondiale, le nubi oscure della disumanità avrebbero invaso il già plumbeo cielo della Storia.
In un assordante silenzio, non privo di episodi d’umanità da parte della popolazione, si sarebbe compiuta la vergogna del “secolo breve”, sei milioni di esseri umani sterminati da altri esseri umani.
Oggi, a ottant’anni dalla “cronologia antisemita della vergogna”, la Storia ci invita a conservare, senza mai toglierlo, il «segnalibro della memoria», e domandarci ‒ in un mondo attuale lontano dal compimento dell’umana solidarietà tra popoli ‒ ancora una volta, «Se questo è un uomo».
[1] Cfr. Michele Sarfatti, The Jews in Mussolini’s Italy. From Equality to Persecution, The University of Wisconsin Press, 2006; cfr. M. Sarfatti, La Shoah in Italia, Einaudi, 2005; cfr. M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, Einaudi, 2007; cfr. M. Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Einaudi, 2022.
[2] Enzo Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Bari, Laterza, 2006, p. 9.
[3] Ivi, p. 10.
[4] Ivi, p. 19.
[5] Nicola Pende, Terapia medica speciale, A. Wassermann, Milano, 1931.
[6] E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia… cit., p. 31.
[7] Alberto Chiurco, medico, docente di patologia medica presso l’Università di Siena. Fu deputato del PNF, e nel 1943 aderì alla RSI.
[8] Ivi, p. 33.
[9] RDL, Regio Decreto-legge.
[10] E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia… cit., p. 54.
[11] L’Internazionale ebraica, I “Protocolli” dei “Savi anziani” di Sion, a cura di Giovanni Preziosi, supplemento de “La vita italiana” rassegna mensile di politica, Roma, 1938.
[12] Ivi, pp. 60-61.
Simone Girardi, laureando in “Scienze Storiche”, già dottore presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano. Da diversi anni si occupa di ricerche storico-militari sui soldati caduti e dispersi nei due conflitti mondiali. È socio ordinario di UNIRR (Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia).
Fonte immagine: Perché l’antisemitismo è una lunga storia
Bibliografia
- Enzo Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Bari, Laterza, 2006
- Nicola Pende, Terapia medica speciale, A. Wassermann, Milano, 1931
- L’Internazionale ebraica, I “Protocolli” dei “Savi anziani” di Sion, a cura di Giovanni Preziosi, supplemento de “La vita italiana” rassegna mensile di politica, Roma, 1938.
- Sarfatti, The Jews in Mussolini’s Italy. From Equality to Persecution, The University of Wisconsin Press, 2006
- Sarfatti, La Shoah in Italia, Einaudi, 2005
Filmografia
- Ruggero Gabbai, Memoria, documentario di testimonianze sull’Olocausto in Italia. Prodotto da CDEC (Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea